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Signore e Signori, colleghi di questo variegato mondo della cultura, amanti del bello, come prima cosa vi prego di perdonare la mia presunzione nell’avere accolto l’invito a parlare di questa raccolta di poesie di Angela Bonanno

cusi e scusi di Angela Bonanno

che l’Associazione “ Centro Studi Panormita” di cui è presidente Laura Rizzo, ns. anfitrione, ha patrocinato per i tipi della Casa editrice Mesogea .

Non vi nascondo che la sua presentazione in questa splendida cornice della villa Trabia, sempre più spesso adibita anche alla accoglienza di occasioni culturali, mi emoziona non poco, specie dopo aver ascoltato i positivi consensi sul mio modesto impegno culturale

E di questa occasione ringrazio le colleghe Antonella Aiello e Antonella Mazzara dell’AUSER che lo hanno proposto alla Rizzo.

Il testo all’ordine del giorno è Kusi e skusi, bel titolo in siciliano per n.100 componimenti, pure in siciliano, con i quali la Bonanno ha inteso “comunicare” le proprie riflessioni a se stessa e agli altri.

Prima di entrare però nel merito letterario dell’opera non posso non sottolineare il suo grande valore sotto l’aspetto linguistico. Sì, perché scegliere oggi di scrivere in un idioma cosiddetto “dialettale” implica la ferrea ostinata volontà di comunicare i propri più intimi pensieri utilizzando, come dice Pirandello, l’idioma del cuore, quello che parla dei sentimenti, il dialetto per l’appunto e non la lingua, più adatta invece a sperimentare concetti elaborati.

Ci sono precedenti illustri. Già nel V secolo a. C. Ermocrate di Gela ed Empedocle di Agrigento, nel IV secolo a.C. Teocrito di Siracusa e nel III secolo a. C. Archestrato di Gela preferirono utilizzare il dialetto del loro tempo, un linguaggio derivato dal greco classico di Atene arricchito con semiotica e significati degli idiomi indigeni siciliani, detto siceliota.

Anche nel III secolo d. C. Abulafia, che era una cabalista, riferisce dell’uso del dialetto giudeo-arabo quando in ebraico venivano scritti testi arabi infarciti di vocaboli siciliani, e qualche secolo dopo i marinai del Mediterraneo parlavano il “sabir”, un misto di latino, bizantino, arabo, spagnolo, francese, etc. Le cui tracce si trovano ancora oggi nel maltese.

Secoli dopo, Antonio Veneziano, Domenico Tempio, Giovanni Meli, Nino Martoglio e tanti altri fino a Santo Calì, Vann’Antò, Rosa Balistreri, Emilio Morina e Ignazio Buttitta, proseguirono l’uso poetico della lingua siciliana italianizzando il proprio dialetto così sfuggendo alla costrizione di una koinè fonica e scritturale.

Comunicare è arte, da sempre: basti pensare alle prime forme di comunicazione quando ci si serviva di versi e di gestualità, della mimica, o poi delle pietre appuntite o dei rametti carbonizzati o degli estratti di piante, realizzando grafiti figurati che fungessero da duraturi messaggi.

La formazione delle lingue e poi l’invenzione della stampa ha fatto si che i vari idiomi si arricchissero di sempre più numerosi vocaboli e che si dessero delle regole alle quali attenersi.

Da qui una prosa sempre più complessa e a volte astrusa, regimentata e prigioniera di se stessa, spesso incomprensibile ai non iniziati, da qui la fuga degli intellettuali verso una forma di comunicazione libera da freni e pastoie, verso la poesia, per l’appunto, dive le espressioni si riducono all’essenziale, dove non c’è spazio “ per dire e non dire” dove non c’è motivo di raccontare menzogne allo scopo di ingannare lettori creduloni né auditori ansiosi di apprendere, una savana, “ unni nun ci sunu stratuna, vaneddine vanidduzzi, ma sulamenti na strata mastra, unni i palori inutili, a matula, sfuiunu di idita komu rina di xumi e si disperdunu nun lassannu rastru”. Si, perché molte parole a volte confondono le idee – pensate al politichese, al burocratese, al linguaggio giudiziario – anche a chi le formula facendo perdere il filo del discorso e opacizzando i concetti. Il dialetto è più sintetico, più diretto, meno dispersivo, più sincero, più onesto, specie, come nel nostro caso, quando se ne fa strumento di poesia.

In questo nostro tempo, purtroppo, il dialetto sta vivendo la sua stagione più buia, aggredito com’è dalla dominante lingua nazionale ( istruzione scolastica, televisione, social ) e dalla incalzante lingua inglese: ne è prova il fatto che in terra di Sicilia a Palermo sua capitale io stesso, che mi picco di essere un ‘cultural sicianalista’ sto parlando di cose siciliane ad un pubblico di siciliani… in italiano, e fortuna che non mi servo ancora dei più diffusi “okay “ al posto di “va bene” e “wow” al posto di “caspita” o “mizzika”.

Ma non c’è da stupirsi se penso all’altro ieri quando ricevetti la lettera di un quindicenne di Siracusa, a cui i genitori hanno proibito di parlare siciliano, curioso di sapere come si pronuncia Trapani. Ho cercato di farglielo capire e gli ho pure spedito un pacco di libri sull’argomento.

Non c’è dubbio che la scelta fatta dalla Bonanno di comporre i suoi versi nella forma poetica dialettale è addirittura coraggiosa, specie se si pensa al pericolo rappresentato dai tanti parassiti sfruttatori che ingannevolmente approfittano, a volte, della ingenuità degli autori per coinvolgerli in illusorie operazioni pseudo-editoriali o comunque, pseudo-culturali. Comportamenti non certo edificanti.

Io stesso, per altro verso, ne sono rimasto vittima perché dopo aver fatto dono spontaneo della mia £ libraria con schedario”, archivio ed epistolario e oggettistica varia” ho creduto al “ si “ espresso dal Consiglio Comunale interessato e ho imballato circa duemila volumi, una trentina di faldoni e alcuni scatoloni con il triste risultato di precludermene l’accesso e di non poterli più consultare in quanto la relativa “ giunta esecutiva” dopo ben oltre due anni non ha ancora dato esecuzione alla delibera del Consiglio.

Altra delusione ho subìto per la mancata pubblicazione di un mio testo sulla storia della nostra Sicilia e di una raccolta di proverbi con allegata la Tavola grafica delle trentasei lettere dello alfabeto siciliano secondo le ricerche fatte in questi ultimi tre decenni della mia “Kademia du krivu”.

Fare cultura significava promuovere. Pensate, io per statuto, vengo “ di ddu loku unni vulennu s’askuta, si pensa, si parra, so lej, si studia, si akrivi midè n’lingua siciliana, ddu loku unni si cerninun tanti purkari pi skartari u meghu di littiratura, xenzi, arti”, quel luogo dove si sono ripescati i segni grafici della nostra primaria lingua madre tra cui la “k greca”, la “x spagnola” e la “jfrancese” da me tanto rivendicati da meritarmi, scherzosamente, “a njuria” di “mister cappa/ics/gei”.

E qui approfittando della vostra cortesia, mi levo un altro sassolino dalla scarpa accennando riprovevolmente a quei glottologi e linguisti che pur di non discostarsi dalla scuola da cui provengono fingono di ignorare “ la tabella fonica siciliana “ così evitando di dover parlare ai loro discenti della “ tavola grafica” che la rappresenta dove oltre alle 23 consonanti e una semivocale e dove solo 18 dei 36 segni sono coincidenti con quelli della lingua italiana.

Potete dire, a questo punto, “ ma kistu ki ni sta kuntannu?” Chi volesse approfondire queste annotazioni grammaticali veda i miei 53 brevi video su youtube e il sito www. Linguasiciliana.com della mia Kademia du Krivu.

Ma fortunatamente, a riportarci al sogno quello che ci conduce dal prato fiorito alle stelle del firmamento e ai meravigliosi affreschi dipinti dalla Natura, ci sono i versi della nostra Autrice per la cui stesura ha Ella scelto di servirsi dei segni grafici del più noto alfabeto italiano.

Angela Bonanno a Palermo Biblioteca di Villa Trabia

Io ho letto questa silloge della Bonanno seduto su una panchina del giardino di villa Sperlinga, di fronte alla statua di Padre Pio e poi ho scritto buona parte di queste pagine seduto su un’altra panchina, quella di fronte al monumento delle Tre Marie di piazza Don Bosco. Alla seconda lettura ho avuto la buona sorte di cogliervi “ il segreto” intrinseco alla loro stessa natura: l’indivisibilità. Infatti, l’apparente ermetismo nei versi della poetessa si scioglie come neve al sole nello stesso momento in cui intuisci, e credetemi, è una vera rivelazione, che nelle sue cento composizioni c’è l’intero percorso di una vita, dalla nascita alla morte ideale, e che tutte le fasi di questa vita vi sono rappresentate senza schermatura alcuna.

Unico trucco magico adottato è stato quello alla Nostradamus: mescolare i vari periodi dopo averli frantumati e trascriverli senza nesso l’un l’altro in una sequenza assolutamente casuale, tanto casuale da rendere difficile, io credo per la stessa Autrice anche perché scritte in situazioni e momenti diversi, trovare il filo conduttore e poter riuscire in senso consequenziale le varie trame del tessuto. Forse anche per questo motivo non hanno titolo. Oserei dire che “Cuci e scuci “ più che una raccolta di poesie è un vero e proprio romanzo biografico sulla esistenza di una qualche entità nota solamente all’Autrice sin nel più intimo dei suoi recessi, una entità di cui ella, forse, tutto conosce.

La Bonanno ha fatto bene ad esporre i suoi versi sia in siciliano che in italiano, a appare subito evidente che li ha pensati e scritti in siciliano e che li ha poi tradotti in italiano. Ha fatto bene, dicevo, per renderli comprensibili non solo ai lettori che siciliano non sono ma anche agli stessi siciliani appartenenti ad aree linguistiche diverse da quella etno-peloritana-aretusea. Sì, perché la nostra Autrice ha pensato e scritto – tra i 100 e 100 esistenti – in quel sub-dialetto quasi vernacolare del proprio vissuto per meglio esprimere i suoi stati d’animo senza dover soggiacere alle forzature semantico-ortografiche della lingua siciliana come la nazionalizzavano con spirito koineistico, ad esempio Nino Martoglio e Alessio Di Giovanni. Ma ella però sa…e ne è prova l’uso dell’accento circonflesso per le preposizioni articolate.

Libera nel pensiero e libera nella scrittura, la Bonanno, come liberi erano Stefano D’Arrigo e Andrea Camilleri quando producevano i loro celebri romanzi.

Non sto orse io parlando a voi in italiano per essere compreso anche dai non siciliani eventualmente presenti in sala? L’importante è farsi capire.

Personalmente non ho dubbi nell’affermare che che i brani vergati dalla Bonanno esprimono il pathos di cui sono impregnati solo se letti nella versione in siciliano che meglio rende, con versi schietti e persino violenti, la sua poesia sofferta, il contenuto vero delle sue intime riflessioni, il percorso lirico del testo.

Ella osserva, a volte ad occhi chiusi, la montagna, il mare, le nubi, la luna, la spiaggia, le stelle, la neve, il vento, le foglie degli alberi, i fili d’erba, ella interroga la propria memoria attraverso ricordi lontani, vivi come fossero fatti del giorno avanti, e ricordi molto prossimi, disseppelliti come fossero rimasti sepolti da lungo tempo… Leggo alcuni stralci.

Scrive Angela, guardando con gli occhi della mente al perenne dramma della Natura

cotula u ventu / na fogghia sicca casca / cu na schigghia ca nuddu senti…

E pensando alla speranza che mai deve morire:

...affunnamu i manu / azzappamu / siminamu / viremu chi nasci…

E poi, in un inno alla dignità dell’umiltà:

mi gnutticu e nun m’affruntu / se / sulu i ciuri finti / nun si ncalunu mai…

E ancora nel connubio Uomo/Natura:

na schigghia di ventu svigghia / u sonnu di veli ammugghiati / ô largu u mari si lamenta

Osserva l’Etna e riflette:

scoppula a muntagna / u fumu cusi u celu / u focu scusi a nivi…

Della monotonia della vita dice:

rosi e spini / ugghia e filu / cusu e scusu / mi spurtusu / cula u sangu / e tramu a tila / du distinu..

.. a luna stasira nun vosi passari / addumai a luci / a tuttu c’è riparu..

E ancora nella speranza che sempre deve esserci:

Qua tratteggia la forza della poesia:

...i pinzeri sunu di passaggiu / a puisia percia / sinu a quannu diventa palora..

E qua la nostra pochezza:

scusi u mari i so riti / sauta u ventu / e scupa u refucu da playa / na buttigghia, n’aceddu mortu e na scarpa..

E sulla tenacia dei nostri pensieri afferma:

...l’arvuli ppi parrari / s’alippanu ô ventu..

Infine la serena resa alla consapevolezza dei limiti umani:

s’arriposunu i manu / l’occhi siccanu… / me figghiu talia addabanna / iu a so testa c’agghianca

Chiudo il mio intervento esprimendo compiacimento per la scelta del luogo in cui si è presentato a Palermo il recente lavoro di Angela Bonanno: la prestigiosa Villa Trabia, importante punto di riferimento per gli studiosi e i ricercatori della storia della città. Un sentito grazie alla responsabile della biblioteca Maria Salvatrice La Barbera, per la sua cortese ospitalità, all’ottimo presidente Giorgio Filippone per il suo illuminante intervento e un grazie a tutti voi per l’attenzione prestata alle mie modeste considerazioni e capacità comunicative.

A bedddu Kori!

Filippo Maria Provitina

Presidente Onorario della Kademia du Krivu

Palermo 5 luglio 2024

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